lunedì 30 settembre 2013

Lessico psicologico e storie

Parlare della mente in astratto è un’abilità complessa e si rendono quindi necessarie delle attività di mediazione in grado di guidare il passaggio dal piano esterno, azioni e reazioni, al piano interno: credenze, desideri, emozioni, percezioni. Molte ricerche, prime fra tutte quelle di Bruner (1986; 1991), testimoniano come una delle attività più efficaci in tal senso sia il racconto o la lettura di storie. 
La duplicità di scenario tipica di ogni narrativa: “lo scenario dell’azione” (i fatti, gli eventi) e “lo scenario della coscienza” (le reazioni interne) costituisce infatti un punto di vista privilegiato da cui esplorare le dinamiche interne e le loro manifestazioni. Attraverso i personaggi e gli eventi delle storie, il bambino impara a conoscere come funziona il mondo degli uomini e quello delle cose, a riconoscere le emozioni e a nominarle, comprende gli stati della mente (credere, desiderare, dubitare) e si serve delle parole delle storie per parlare dei suoi pensieri e degli stati d’animo. In altri termini, i racconti innescano un processo di identificazione empatica  che assolve una funzione vicaria, per la quale il bambino “usa” la mente e l’emotività dei personaggi come “specchio” per intravedere i propri processi cognitivi ed emotivi e sviluppare una certa familiarità con la mente dell’altro.
Gli studi hanno anche dimostrato però che non è sufficiente il racconto in sé a promuovere la consapevolezza degli stati interni propri ed altrui, quanto piuttosto i discorsi che si animano intorno al racconto, stimolandone la rielaborazione riflessiva. Si tratta di quel “dialogo metacognitivo” con cui l’adulto rende “leggibile” e “intelligibile” agli occhi del bambino il rapporto tra i due scenari, ossia tra eventi della storia e reazioni interne dei personaggi. Lo scambio dialogico non consiste di sole domande e risposte, ma implica la “risposta partecipativa” dell’adulto; questa consiste in una modalità di interazione con il piccolo basata su strategie di riconoscimento e apprezzamento dei suoi progressi, di supporto nella costruzione delle risposte, di esplorazione collaborativa degli stati della mente. La “risposta partecipativa” comprende un insieme di strategie in grado di dotare il formato interattivo del racconto di quella tonalità metacognitiva e, insieme, affettivo-emotiva che gratifica l’impegno conoscitivo del bambino e che rende la narrazione un’attività attesa e desiderata.1
La narrazione offre un’eccezionale possibilità di far emergere la consapevolezza degli stati mentali dei bambini e la loro capacità di descriverli, comprenderli, metterli in relazione con sé stessi e gli altri. Con riferimento alla prospettiva bruneriana, si distinguono all’interno della trama due aspetti: quello dell’azione (landscape of action), cioè lo svolgersi degli eventi, e quello della consapevolezza (landscape of consciousness), ossia l’aspetto metarappresentazionale relativo agli stati interni dei personaggi. Da questa prospettiva nascono diverse metodologie e procedure che fanno della storia uno strumento, un mezzo per analizzare da un lato e sviluppare dall’altro la consapevolezza degli stati mentali nei bambini e l’evoluzione, la crescita della padronanza del lessico psicologico. Tali metodologie si basano sul co-costruire storie con una coppia adulto-bambino o bambino-bambino (o gruppo classe), sul completamento di una storia dato un incipit, sull’inventare o ricostruire storie basandosi su immagini, illustrazioni, fotografie, sul raccontare storie ed approfondirle con attività correlate.
Per la prima grande area di queste metodologie, dove il bambino è chiamato a completare, inventare, commentare una strategia efficace è quella dell’utilizzo di libri illustrati, spesso privi di parole, come ad esempio “Frog, Where are you?”2 (Rana, dove sei?) in cui sono illustrate le avventure di un bambino e del suo cane alla ricerca della loro rana, andata perduta. La storia qui citata è stata impiegata con successo in diversi studi sulla competenza narrativa e linguistica ( Cameron e Wang 1999; Losh 2001; Reilly, Bates e Marchman 1998; Reilly, Klima e Bellugi 1990; Reilly 2004) ed introdotta nella ricerca sulla narrazione degli stati psicologici condotta da Baumgartner e Devescovi (2001).
La seconda area invece si basa sul racconto di una storia da parte di un adulto e su delle attività costruite in relazione agli stati interni dei personaggi: lo Story Telling consiste per l’appunto nella lettura di storie effettuata da un adulto a dei bambini, integrata dall’animazione attraverso diverse tecniche, prima, durante e dopo la narrazione. 
Utilizzare una storia per avvicinarsi al mondo interiore del bambino è un metodo rispettoso, efficace, delicato e meno invasivo rispetto a domande dirette, che potrebbero essere fraintese, non comprese e potrebbero dar luogo a reazioni di chiusura. Le immagini cariche di significati che emergono dalla narrazione attirano al loro interno il bambino, gli permettono di identificarsi, imparando a conoscere meglio le emozioni e le situazioni in cui si situano attraverso dapprima gli occhi, il corpo, il pensiero di un personaggio e quindi di fare proprie queste nuove conoscenze. Il bambino impara così un nuovo lessico, adeguato a descrivere ciò che prova, che gli permette di sviluppare piano piano quella competenza lessicale e simbolica necessaria affinché la parola diventi immagine-metafora dell’emozione e strumento di comunicazione e gestione dell’emozione stessa.

Francesca Dal Ben



1 Polato E. Cisotto L. “I sottomarini lo sanno”. Racconti dialogati alla scoperta della mente, Tesi di Laurea, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Padova, 2005
2 Mayer M., Frog, Where are you?, New York 1969, Dial Press.

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